Tumore al Testicolo Forum

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Autore Argomento: quelle notti di febbraio, ricordi ospedalieri


franco
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Posts: 22
quelle notti di febbraio, ricordi ospedalieri
il: January 5, 2014, 01:19

Un breve raccconto di flash della memoria che inesorabilmente spesso torna a quella settimana di febbraio del 2012 quando il mio mondo si capovolse in un istante. Prima della diagnosi e della malattia ammetto che socialmente non avevo una vita attiva, anzi, come ho sempre fatto ho vissuto ai confini di tutto, ma lentamente mi ero assuefatto a questa condizione di solitudine e alla perdita lenta di tanti hobby e tanti interessi. Sembrerebbe quasi che la diagnosi del tumore, avvenuta il 20 febbraio dello stesso anno, fosse un coronamento al mio desiderio di non voler sapere più nulla di nulla, e in un certo senso l'idea di dover lasciare il mondo terreno non mi turbava più di tanto. Solo, mi lasciava spiazzato l'idea che un qualcosa che mai avevo pensato mi sarebbe potuta succedere fosse venuta proprio a me. Dopo la diagnosi, esco dall'ospedale di Taranto sotto un mare di pioggia, un tempo bruttissimo, ma nonostante ciò non avevo l'ombrello nè lo avevo aperto. Presi quelle gocce d'acqua come se nulla fosse, una sorta di "singin in the rain" al contrario. Nel contempo, la mia ragazza si era recata a scuola e, come tutti i giorni, io le avevo inviato un messaggio sms di buongiorno avvertendola che poi le avrei fatto sapere come sarebbe andata la visita. Ricordo che non la avevano ancora fatta entrare in classe per un ritardo, io non lo sapevo, pur tuttavia le scrissi un sms che recitava "sì purtroppo è tumore, e credo che andrò definitivamente a chiudere la mia partita con la vita". Volevo farlo davvero, ma quando in risposta vidi una serie di suoi sms che mi scongiuravano di non farlo, di non abbandonarla, di combattere, di provare a rialzarmi capii che stavo procedendo in direzione sbagliata e che la malattia la dovevo fronteggiare e soprattutto non con l'aria dimessa che avevo avuto fino a quel momento. Le dico che non faccio stupidaggini, la tranquillizzo, e inizio a prepararmi con calma psicologicamente per il ricovero. Trascorsi il resto della giornata in casa ad aspettare l'esito dei primii marker tumorali che dovevano stabilire se veramente di tumore non seminomatoso si trattava o di un più abbordabile seminoma e il caso volle che essi pervennero a livelli molto bassi e addirittura non rintracciabili. Un piccolo segnale positivo in mezzo a questa tempesta. Durante la notte un sogno molto bello, forse rilassante, fatto di campagna di cielo stelle e mare, che ben presto però finisce per far spazio alla nuova realtà, ancora pioggia, freddo invernale, viaggio fino in ospedale e metalliche luci al neon della sala d'attesa del triage. Mezz'ora e sono su in reparto urologia. Mi viene data la stanza e vengo invitato a cambiarmi d'abito e a mettermi in pigiama. Poco prima che io lo facessi, arriva il primario (lo stesso che mi aveva detto che "si sarebbe giocato tutta la sua carriera su un coriocarcinoma") e mi dice che avevo sbagliato a pensare che fosse un coriocarcinoma ma che in realtà era come pensava lui, ossia un seminoma ma poteva anche essere un varicocele. Attendo il tempo necessario per una Tac pre-operatoria che non mostra anomalie e dopodichè aspetto ansiosamente l'entrata in sala operatoria. Ho giusto il tempo di scrivere un sms alla mia ragazza "sto per andare in sala operatoria, spengo il cellulare, tra poche ore sono di nuovo qui ti prego stai tranquilla" che sono chiamato. Viene decisa l'anestesia totale, quel poco che mi ricordo era un ragazzo simpatico che svolgeva mansioni di anestesista, mi invita a rilassarmi e a stare calmo, che il farmaco che mi inietterà si chiama Sevorane, che serve per anestetizz... boom... buio a mezzogiorno.

Mi sveglio dopo circa tre ore di buio totale (in effetti era uno stato pre-morte quello che ho vissuto) e mi ci vuole poco per ricollegare tutti gli eventi. La prima cosa è stata quella di passare una mano lì dove c'era il mio testicolo, e lo sento ancora, sento qualcosa anche se di consistenza diversa dal solito. Per un attimo penso, lo hanno esaminato, non era tumore e lo hanno risistemato al suo posto! Lo chiedo a uno degli urologi e mi fa "sì sì non c'era niente tutto apposto!" e io tutto festante mi faccio riaccompagnare in camera. Non è un tumore,non lo è, non lo è mai stato! Ma questa gioia dura solo mezz'ora, il tempo in cui un altro urologo dell'equipe arriva e mi dice "lei da oggi è monorchide, abbiamo eliminato il testicolo perchè vi erano chiare tracce di neoplasia e le è stato sostituito con una protesi in plastica, ora lei starà qui fin quando la ferita non sarà rimarginata e il processo di drenaggio terminato, non potrà nè mangiare nè bere fin quando gli effetti dell'anestetico saranno terminati, e qui la nostra competenza finisce, il tutto ora è nelle mani dell'unità di anatomo-patologia". Va via senza dirmi neanche buongiorno e dopo avermi parlato con un tono da robot programmato. Quindi di tumore si trattava, e non si sa ancora di quale tipologia...

Comprendo che sarà una lotta dura, se non altro rimanere per quei giorni in quell'ospedale, una vera e propria sopravvivenza. Cerco di contare sulle mie forze ma questo non è possibile perchè piano piano l'anestetico inizia a svanire e i dolori praticati dall'incisione raggiungono soglie spaventose. Sono state tagliate fibre nervose e muscoli, e ora urlano letteralmente.
Passa la prima notte, dolore, dolore, dolore e tanta sete. Ma non potevo bere nè muovermi, potevo stare solo fermo in un'unica posizione senza nemmeno muovermi. I tubicini del drenaggio faticano a contenere la rimarginazione della ferita e quindi spesso le lenzuola mi vengono cambiate. Il dolore mi gonfia gli occhi, mi fa piangere, mi fa stare male, ma non posso farci niente. Posso e devo solo sopportare. In fondo, ho pianto tante volte per la solitudine, anche in questo caso mi tocca versare delle lacrime, lo faccio, pazienza.

Trascorre la notte in quello stato pietoso e il giorno dopo c'è il solito giro dei reparti da parte dell'equipe medica. Uno degli urologi mi vede esanime sul letto e mi urla queste parole "tu stai bene, smetti di fare la parte del malato terminale, alzati, sbrigati, mettiti in piedi e cammina che stai bene!" (con i tubicini del drenaggio avrei voluto vedere come avrei potuto camminare). Ma non riesco, non ce la faccio, gli faccio cenno di no con la testa, e lui mi aggiunge e mi urla "bene,allora domani due infermieri te li mando e ti alzano loro e vediamo!" e va via (aggiunse anche un'altra cosa molto brutta e umiliante ma non voglio scriverla). All'arrivo della notte successiva mi rendo conto che se devo provare ad ogni costo a mettermi in piedi da solo se non volevo essere prelevato di forza dal personale infermieristico. E allora ecco che molto lentamente cambio di posizione, poggio i piedi a terra, alzo il busto, mi tiro su con tutta la forza che potevo e sono in piedi. Lame di coltello nel burro, questa era la mia sensazione e il dolore della ferita. Ma sono deciso a continuare. Con lentezza proseguo verso il bagno, cammino piano piano appoggiandomi al muro, sgranchisco le gambe, fa molto male, ma trovo la forza per prendere il pappagallo (che non mi avevano mai portato) e urinare. Il caso volle anche che finalmente l'intestino e tutto il tratto gastrico si fossero riattivati e riuscii a chiamare l'infermiere di notte per farmi portare un bicchiere d'acqua che, in quella circostanza, dovette veramente apparirmi come un nettare di ambrosia divina. Al mattino uno degli infermieri viene per mettermi la fisiologica, la flebo finisce, me la stacca, e arrivano i famosi due che mi dovevano tirare su. Ricordo ancora uno dire all'altro "è lui, dai tu prendilo di là io di qua" e io li fermai dicendo "fermi, ho una dignità" e riuscii a mettermi in piedi senza che loro mi avessero toccato.

La data di dimissioni era fissata per il 25 febbraio. La notte precedente, oramai in possesso delle facoltà deambulatorie, decido di fare una piccola passeggiata nel reparto e, già che la porta di servizio era aperta, di spingermi fino nel corridoio adiacente. Qui stranamente mi sono sentito davvero perso. Mi ritrovavo solo, in questo lungo corridoio d'ospedale illuminato solo da tetre luci al neon bianche, fuori il tempo era piovoso, i palazzi tutto intorno e le luci arancioni dei lampioni che conferivano un'area piuttosto funerea, il freddo in quel corridoio, io credo in quell'istante di aver perso la testa. A bassa voce infatti ripetevo "esci fuori se hai coraggio, uscite fuori cancro e demonio mostratemi il vostro volto". Ovvio che certe cose non esistono ma io credo che se veramente qualcosa fosse successo io l'avrei affrontata senza un briciolo di paura. Quel corridoio, quel freddo e quel senso di smarrimento e solitudine me li porterò per sempre dentro.

Alla fine, arriva la mattina del 25 febbraio e mi viene consegnato il foglio di dimissioni. Tanti auguri e arrivederci, torni la prossima settimana per il controllo della ferita. Esco dall'ospedale in una giornata calda e soleggiata (in netta antitesi con la giornata piovosa e fredda del mio ricovero) ma il mondo lo vedo sotto un'ottica diversa. Ora la mia vita non è più normale, sono sopravvissuto a un cancro, forse per sempre forse no (purtroppo poi è tornato ma all'epoca non lo sapevo) ma una cosa era certa, avevo attraversato il fiume e ora guardavo tutto dalla sponda opposta. Anche tornare a casa, quella stessa casa che avevo lasciato pochi giorni prima e guardarla con occhi diversi, tutto, tutto era ed è cambiato Una cosa della mia vecchia vita mi porto dentro, la mia tristezza di fondo. Ma si sa, ciò che si deposita sul fondo è sempre la parte più dura a scomparire. Basta solo abituarcisi.

A inizio marzo, arriva l'esito dell'anatomo-patologo. Oramai ho imparato a memoria le parole scritte su quel referto: "Al taglio il parenchima del testicolo appare in gran parte sostituito da neoformazione bianco-giallastra del diametro massimo di centimetri 3. DIAGNOSI: Seminoma tipico del didimo. La neoplasia infiltra focalmente la tunica albuginea senza superarla e la rete testis. Epididimo e funicolo spermatico esenti da neoplasia. PT1, Nx, Mx".E qui parte la disputa tra medici. Dall'urologia dicono che non dovevo fare più nulla, solo sorveglianza. Primo oncologo: fai la radioterapia e archivi tutto. Radioterapista: ma no qui la sorveglianza va benissimo. Faccio una Pet nel contempo e non trovano nulla. Ancora insistono sulla sorveglianza al che mi reco da un secondo oncologo: noooo qua devi fare la radioterapia, è importante, o al massimo... ehm... bè ci sarebbe il carboplatino, che ne dici ? ha più o meno lo stesso tasso di guarigione della radioterapia, te lo consiglio vivamente, aspetta che ti presento la dottoressa della mia equipe che si occuperà di te... arriva la dottoressa, che poi è ora la mia oncologa principale di riferimento, e mi convince anche lei a optare per il carboplatino anche se erano trascorse le sei settimane limite dalle terapie adiuvanti ma, come si dice "meglio tardi che mai". E così mi ritrovai il 17 maggio del 2012 ad avere iniettati in corpo 950 mg di carboplatino che avrebbero dovuto mettere a tacere il tumore per sempre. Ma, forse per il ritardo, forse per la dose non molto elevata, forse perchè il tumore alcune volte resiste, a poco è servito perchè dopo 13 mesi è ritornato. Non so come avrebbero preso la notizia gli urologi che mi schernivano dicendo che io ero da internare in neuropsichiatria per quei dolori e che dicevano "i pazienti oncologici li trattiamo noi tu non devi fare più niente" (e si badi bene, uno dei suoi colleghi dell'urologia aveva detto che dopo l'orchiectomia e il monitoraggio della ferita il loro compito terminava), ma credo che starci a pensare serva a poco. In fondo, errare è umano, e soprattutto con queste malattie così subdole.

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